Il mio attuale rapporto con questo blog sembra quello che si ha con certi amici.
Quegli amici che conosci da una vita, ai quali vuoi bene, che però per qualche ragione non riesci mai a vedere.
Devo lavorare, sono sotto esame, scusa sabato ho già altri impegni.. ma poi ci vediamo eh.
E poi riesci finalmente a vederti, incastrando i piani e gli impegni dell’uno e dell’altro, e vorresti dire tante cose, tipo “mi sei mancato”, semplicemente, e invece non dici niente e chiacchieri del nulla.
E poi ti saluti, e chissà quando ci rivedremo.
Ho fatto questo col mio blog, il mio adorato Privet Drive.
In questo anno e mezzo io e lui abbiamo preso un caffè ogni tre/quattro mesi e poi di nuovo ciao.
Perché tutti quelli che pensavo sarebbero stati nuovi inizi non lo sono stati.
Io non lo so se questo sarà davvero un nuovo inizio, del tipo “giuro che scriverò almeno una volta alla settimana”.
Ma ci voglio provare, di nuovo.
In maniera diversa, questa volta.
Voglio dire una verità.
Perché quando rivedi un amico dopo tanto tempo, se è davvero un amico, parli davvero. Non cianci di inutilità. Davanti a quel caffè, nonostante il tempo, nonostante la distanza, siete ancora voi, ancora affini.
Non so se mi sono spiegato. Se non mi sono spiegato perdonatemi, ma sono un po’ arrugginito.
Una verità, dicevo.
Mi è venuto in mente ieri sera.
E poi di nuovo oggi, quando ho rivisto un’amica che sta a Londra.
Un’amica che siccome non è una pillacchera come me, non aveva visto la foto su facebook nella quale annunciavo il mio taglio di capelli. E oggi quando mi ha visto ha detto “nooooo”, perché ci conosciamo da dodici anni e da undici mi vedeva con i capelli lunghi.
Poi mi ha chiesto perché l’avevo fatto e ha aggiunto “perché per noi donne tagliare i capelli è sempre per cambiare qualcosa”.
Io non le ho risposto, nonostante sapessi che avrebbe capito, nonostante sapessi che non è una cosa di cui vergognarsi.
E quindi lo dico qui, perché questo nuovo corso del blog possa cominciare con una verità.
Ho tagliato i capelli per la morte di mia nonna.
Non solo perché volevo un cambiamento, ma perché li stavo letteralmente perdendo a ciocche.
“Io vivo insieme ai miei capelli” per me non è mai stato solo il verso di una canzone di Niccolo Fabi, ma la realtà: i miei capelli, quando erano lunghi, erano perfetto specchio del mio stato psicofisico.
Boccolosi e vaporosi quando stavo bene, fiappi e crespi quando stavo male. Dall’esterno non si vedeva, perché nove volte su dieci erano arricciolati in una vaporosa cipolla. Ma non era sempre la stessa cipolla. Forse da fuori non si vedeva, ma io lo sapevo. E chi mi conosceva bene lo sapeva (tipo Clara, che era in grado di capire quando i miei capelli erano da lavare in base alla vaporosità della mia cipolla).
E così, in quei due brevi mesi di malattia, la sofferenza che tutti ci sforzavamo di negare, nel mio caso si è manifestata così, in capelli che cadevano in maniera più copiosa del solito.
E quindi taglio netto per rinforzarli, ma anche taglio netto per dire addio al ragazzo col cesto che veniva obbligato dalla nonna a mettersi sulle sue ginocchia per ascoltare il Luneri di Smembar.
La cosa buffa è che mia nonna ha passato anni a dirmi di tagliare i capelli, e non mi vedrà mai così, ma so che le sarebbero piaciuti. Probabilmente nemmeno il taglio del parrucchiere sarebbe stato “ad attore, corti un po’ lunghi” come mi suggeriva lei, ma credo che le sarebbero piaciuti comunque.
Questo è quanto.
Questa è la mia verità di stasera, nero su bianco per provare di nuovo a ricominciare con questo blog.
Forse sarà l’ennesimo tentativo a vuoto, forse no.
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